Non si perdeva una messa il pio Iacopo Cavalcanti (1787-1859), nobile gourmand, intellettuale e Duca di Bonvicino, consigliando ai parroci ricette per i festeggiamenti religiosi di questo o di tal altro santo. Nel 1837, decise, poi, di riunirle nell’ambizioso progetto letterario e editoriale “Cucina teorico pratica, col corrispondente riposto ed alcune nozioni di scalcare” che rimarrà, per le sue peculiarità, una pietra miliare della letteratura gastronomica napoletana e italiana.
Il nobile don Ippolito Cavalcanti
Nacque ad Afragola, un nome che è già un destino, ma crebbe nel magnifico palazzo di famiglia in via Toledo nel cuore della città partenopea.
Discendente dell’aristocratica famiglia di Guido Cavalcanti, poeta e amico di Dante Alighieri, e di nobiltà calabrese per parte di madre, si “dilettava” in cucina, tanto da essere nominato consulente culinario della Casa Reale Borbone delle Due Sicilie, passione che esercitava tra un impegno politico e l’altro in quanto parte del club esclusivo per il governo della città, gli “Eletti di Napoli”.
Pur dimostrando nonchalance per la sua opera gastronomica, scritta solo “per divagarsi nei momenti d’ozio”, in realtà, le dedicò circa 25 anni della sua vita, grazie anche all’enorme successo che riscosse.
Le edizioni fino alla sua morte furono, infatti, circa dieci, con continue aggiunte e riscritture: il risultato fu un compendio di ricette napoletane “alte”, ricche e sofisticate, intrise di ingredienti “alla francese”, ma anche più popolari, della quotidianità, in dialetto napoletano, presenti, sin dalla seconda edizione, nell’ appendice” Della vera cucina casareccia”. Tutte oggi parte, imprescindibile, della cucina italiana.