Nell’istante in cui il vino entra nella forma che sta per assumere, il tempo, per un attimo, aspetta: alla presenza di noi spettatori avviene l’incontro tra Forma e Contenuto. È un momento sospeso, evocativo, pieno di fascino e aspettative: il liquido, piano piano, penetra nella sua apparenza, nervosamente, rumorosamente, inondando la forma di colore e calore alcolico, spargendo il suo profumo; per poi fi nalmente placarsi, assestato, assumendo contorni defi niti ma non definitivi.
Il bicchiere, a buon diritto, si prende parte della scena e, seppur riconoscente, non intende essere totalmente invaso dalla sostanza: esige uno spazio tutto per sé, libero, dove poter manifestare il suo profi lo, lasciando a sua volta agio suffi ciente al vino, affi nché, protetto all’interno, possa respirare comodamente. Una questione di proporzioni e di rispetto reciproco. Finalmente pieno della sua essenza, sprigiona tutto il proprio charme compiacendosi nell’essere afferrato, roteato, elevato alla ricerca di un lampo di luce. Luccicante e ordinato sopra una tavola imbandita, partecipa all’incontro fi sico con mani, nasi e bocche voluttuose, attraverso sensazioni tattili direttamente riferibili al seno materno; e un bordo inciso, levigato o meglio ancora arrotondato, correttamente sottile, ben predispone al successivo piacere edonistico, godimento sensuale della vista, dell’olfatto, del gusto e del tatto.
Il calice è fi ero del suo contenuto: il bevante, il ventre accogliente, si erge altero sullo stelo e su una base di appoggio, il piede, dove permette a noi mortali di essere toccato, il più possibile lontano dalla sua essenza interna, per non disturbarla. Nell’accezione fl oreale, a tulipano, si definirà costituito da bulbo, gambo e piede.
Il bicchiere contemporaneo non vuole sembrare né troppo fragile, né tantomeno massiccio, né troppo alto, né tozzo. Pretende di essere lucente, brillante e soprattutto ben proporzionato
in tutte le sue parti: bevante, altezza dello stelo e ampiezza della base. Quando il calice è ideato in relazione esclusiva alle caratteristiche di un vitigno, il bulbo segue variabili strettamente
personali, quali la forma e le dimensioni, quindi la profondità e l’apertura della bocca, e infine il diametro massimo.
È il vino a scegliere la forma più adatta a sé. Sa meglio di tutti che il calice è il più potente mezzo di interpretazione di se stesso: forma e dimensioni possono esaltare, deformare o appiattire le sue qualità organolettiche. Conosce lo stretto legame tra i fattori fi sico-chimici che agiscono sul suo dosaggio all’interno di una bocca e sulla posizione nella cavità orale, e pure gli esiti della volatilizzazione dei composti aromatici all’interno del calice.
Nello spazio di testa, che è il volume al di sopra del liquido, delimitato dalla forma del bevante e chiuso dal diametro della bocca, il vino gioca tutto se stesso. Il suo volume in rapporto allo spazio libero di espressione è importante, ma lo è ancor di più il diametro della sua superficie a contatto con l’aria: da questa proporzione nascono gli scambi convettivi che gli consentono di esprimersi al meglio. Roteando il calice, il piano di evaporazione aumenta, permettendo di captare con maggior intensità e velocità le molecole profumate che si concentrano sulla bocca. Inoltre, l’ossigeno entra più rapidamente, riattivando a ogni rotazione i moti convettivi tra liquido e spazio di testa. Rimanendo fermo, occorre più tempo perché il vino inizi a respirare al meglio: a noi la scelta.