Il “less is more” è forse sfuggito di mano al mondo del fine dining. Nell’entusiasmo di portare tutto all’essenziale, sta lentamente scomparendo anche la tovaglia? Ma è un vuoto progettuale o semplicemente un modo contemporaneo di stare a tavola?
Tovaglia si, tovaglia no: questo è il problema. Una piccola querelle presente già da anni che non ha portato a una soluzione. Pare sia un nuovo terreno di battaglia tra tradizione e contemporaneità. Alcuni ristoratori sono fermamente convinti del suo utilizzo, altri assolutamente contrari, altri scelgono dei compromessi, utilizzando tovagliette all’americana o runner, oppure facendo scegliere al cliente se vuole il tavolo con o senza tovaglia.
I clienti sono ancora ancorati alla tradizione, ma si adattano velocemente alle nuove mode. Eliminarla è certamente una tendenza che viene da lontano, perché non appartiene alla cultura italiana dello stare a tavola. Durerà? Difficile dirlo. L’impressione è che non si tratti di una semplice moda passeggera ma che, come tutto ciò che riguarda la Tavola, rappresenti lo specchio della società contemporanea.
Lessico familiare
Le prime impressioni contano. Le luci, gli arredi e i materiali in sala sono il primo colpo d’occhio che fanno, se non innamorare, per lo meno, ben predisporre il cliente a gustare e a sperimentare. Nel “viaggio” che compie tra l’entrata e lo spazio vitale a lui dedicato, il tavolo rappresenta un porto sicuro. Ne prende possesso, seppur temporaneamente. Vi si siede e, in quei pochi istanti carichi di aspettative, il ristorante si gioca (quasi) tutto. Non è solo il centro della scena, ma la scena stessa sulla quale si comporrà la sceneggiatura gustativa.
Per questo motivo, la mise en place e la presenza o meno della tovaglia risultano fondamentali: eliminarla non può essere solo un vezzo estetico otrendy o, peggio ancora, una risposta economica alla crisi, ma una scelta consapevole che influenza, globalmente e coerentemente, il progetto di cucina, di servizio e di stile di un locale. E cosa più importante, utilizzarla o meno, definisce i contorni dell’esperienza personale che ogni ristorante intende offrire ai propri ospiti. Se presente, rende la sala ordinata, calda ed elegante. Il suo aspetto ben steso e stirato, la sua lunghezza uniforme per tutti i tavoli, la qualità del tessuto e la sua pulizia restano elementi decisivi per una prima impressione dell’ambiente.
Accomodarsi ad un tavolo con tovaglia immacolata, magari in lino, e accarezzarla sfiorandola con i polpastrelli rappresenta, ancora per molti, un momento impagabile.
Grazie al mollettone i suoni sono attutiti e ovattati, dando consistenza e volume alla superficie. In quanto fondamenta di un progetto gustativo, è lo sfondo neutro sul quale imbastire
armonicamente la mise en place, personale a ogni locale. La tovaglia compatta lo spazio-tavolo, lo unifica creando una tabula rasa sulla quale poter costruire una comunità tra pari, aperta e ospitale fatta di persone ed esperienze condivise. Rappresenta un mondo familiare, rassicurante e lento dove condividere emozioni e nuovi orizzonti. Tra le sue trame, in un crescendo gustativo, la mente è libera di spaziare mentre le conversazioni vi si impigliano o si liberano. Vista, tatto, suono, profumo e gusto: questa è la tavola sensoriale.
Il tavolo è nudo
Il tavolo nudo è sexy. Privo di veli, si denuda di fronte al cliente lasciando poco spazio all’immaginazione: si espone alla vista senza più voler celare la sua anima. Lo si tocca percependo
il caldo o il freddo della materia, la rugosità o la setosità della finitura in un gioco malizioso che parte dalla sua pelle attraversando l’offerta gastronomica e il servizio. Si passa così dalla tavola sensoriale a quella sensuale dove la sinestesia si trasforma in voluttà.
Il minimalismo orientale e la matericità dei paesi nordici hanno influenzato radicalmente il modo di fare e addirittura di pensare la Cucina, portando nuove cifre stilistiche sull’estetica
del piatto e dell’allestimento. Essenzialità, rigore formale e pulizia. Sotto l’imperativo di togliere e selezionare, prima o poi anche la tovaglia ne doveva fare le spese. La matericità si è trasferita dai piatti al tavolo, che, senza tovaglia, deve essere ovviamente bellissimo, senza imperfezioni e resistente. Con una base così caratterizzata, il progetto della mise en place viene costruito partendo da essa, mentre il centrotavola perde il suo significato più classico per assumere forme e materie inusuali. Con pochi scarni elementi fa parte di una scenografia piuttosto d’avanguardia, essenziale, composta da un gioco di luce e ombre e, talvolta, carica di mistero.
Lo spazio senza veli è fatto di momenti gustativi dai ritmi cadenzati, alternati a istanti sospesi seguiti da accelerazioni improvvise. Senza tovaglia si crea una dimensione più centripeta
e implosa. Le conversazioni, dai toni bassi, scavano solchi nella materia viva verso una profondità meditativa mentre la ricerca dell’emozione è più solitaria che corale. Più che a persone e gusto, la convivialità senza tovaglia è adatta a anime e piaceri dove a vincere è l’edonismo. È per piccoli gruppi, selettivi e distanti da una comunità aperta e riunita attorno a una tavola.
Liturgia a tavola
Credenti o meno, nei paesi intrisi di cultura cattolica, stendere la tovaglia è un rito: familiare, collettivo e trasversale ai ceti sociali. Sin dal IX secolo, a seguito della codificazione della
liturgia cattolica, ne era previsto l’obbligo per coprire l’altare considerato la pietra sacra, la mensa del signore e la sua stessa immagine. Venivano utilizzate almeno tre tovaglie in candido
e purissimo lino. Secondo i costumi cavallereschi, utilizzarla costituiva un simbolo di prestigio ed esserne privati rappresentava una grande umiliazione.
Verso la metà del ‘300 era applicato un rituale infamante per radiare un cavaliere che avesse macchiato il proprio onore: lo si faceva sedere a tavola dove veniva rimossa parte la tovaglia,
tagliata a destra e a sinistra. In tutti i secoli successivi è rimasta il simbolo della sacralità del pasto e della celebrazione, anche nella quotidianità. Coprendo la mensa, si ringraziava il Signore per il cibo offerto, soprattutto in periodi storici in cui spesso si saltava sia il pranzo che la cena. Fino a qualche decennio fa un tavolo nudo era fuori discussione, ma oggi si mangia tutti i giorni, abbondantemente, e pare che la sacralità della tavola e dei suoi riti sia un aspetto superato. Non è un caso che accolgano l’eliminazione della tovaglia come una liberazione da costrizioni ormai antiquate. Una bella tovaglia è sempre stata, poi, l’emblema del “far festa”, a casa come al ristorante.
Solo qualche tempo fa, si usciva a cena raramente e solo in occasioni particolari, per festeggiare e per uscire dalla quotidianità e la presenza rassicurante della tovaglia sugellava l’importanza di quell’evento. Oggi, al contrario, si mangia sempre più spesso fuori casa: più che l’unicità del momento si ricerca la molteplicità di esperienze da cogliere nel breve volgere
di un pasto, condiviso o meno. Ed ecco che la tovaglia pare abbia perso parte del suo magico potere.